L’anello delle Aquile
Parco Nazionale del Pollino, 23/04/2017
A nostro modo di vedere, si tratta dell’anello più grandioso e selvaggio, che si possa percorrere nel Parco Nazionale del Pollino. Un itinerario intriso di segreti, di luoghi dimenticati, di leggende, di storia. L’anello che principia con la salita lungo la favolosa cresta delle Aquile, si chiude percorrendo antichi sentieri che un tempo venivano utilizzati dagli abitanti della valle del Raganello per spostarsi in quest’ambiente così severo. Questi sentieri sono oggi appena accennati e risentono delle mutazioni della morfologia del terreno, come frane ed erosioni. La vegetazione di bassa quota fa il resto, invadendo la traccia con i rovi, che in breve tempo rendono il sentiero impenetrabile. Per questo motivo, grande è il sacrificio richiesto a chi decidesse di percorrere quest’angolo di paradiso, e quindi solo l’amore e la passione per queste montagne può restituire la forza necessaria!
Avevamo già percorso quest’anello tre anni fa, disegnandolo sulle carte topografiche, e cercando informazioni circa l’allora fattibilità di questi sentieri. Non trovammo molte informazioni, soprattutto in merito alla Scala di Sant’Anna, se non il fatto che fosse stata percorsa l’anno prima durante il trekking dei Briganti. Conoscevamo invece gli altri tratti, per averli percorsi in varie occasioni. Decidemmo quindi di provarci, chiudendo l’anello, non senza difficoltà, dopo tredici ore e mezza di duro cammino! Fu difficile infatti, trovare l’imbocco della Scala di Sant’Anna, ed ancor più problematico, raggiungere il Belvedere di Barile dal greto del Raganello. Nonostante le difficoltà, anzi forse proprio per merito delle difficoltà incontrate, conserviamo un bellissimo ricordo di questa via, perché ci ha permesso di entrare in simbiosi con questa terra!
Per questa domenica avevamo altri programmi, ma quando gli amici Maurizio e Saverio, ci dicono di essere sabato a San Lorenzo Bellizzi per partecipare ad una conferenza, e che il giorno seguente avrebbero fatto l’anello, non ci pensiamo due volte, e decidiamo di unirci a loro.
L’indomani mattina quindi, ci incontriamo presto a San Lorenzo Bellizzi, e saliamo con l’auto alla Maddalena. Parcheggiamo vicino a delle masserie, e partiamo in discesa lungo il sentiero che conduce al Raganello, per poi abbandonarlo ed individuare un altro sentiero che, percorrendo la base dei lisci, permetta di spostarci più a nord, dove la spalla presenti una roccia più compatta e quindi più sicura da risalire. Inerpicandoci sui lisci, guadagniamo la cresta in corrispondenza di una specie di selletta, dalla quale si percepisce subito la spettacolarità di questa montagna! Da un lato i lisci, mentre dall’altro la parete, a picco sul torrente Raganello. Percorriamo la grandiosa cresta delle Aquile, aspra e selvaggia, popolata dai lecci nel primo tratto, per poi divenire completamente scoperta fino in cima. La vetta, nonostante la cresta sia sempre in salita e quindi senza saliscendi, non è mai visibile, e ogni volta che si pensa di averla quasi raggiunta, ne spunta un’altra alle sue spalle. La cresta infatti serpeggia, mostrando di volta in volta i suoi contrafforti verticali, alcuni dei quali addirittura sospesi nel vuoto. Dopo aver colmato quasi mille metri di dislivello, raggiungiamo la cima, semplice come a noi piace. Vi troviamo solo un cumulo di sassi, popolato da tante coccinelle e nient’altro che intralci la vista mentre giriamo lo sguardo intorno!
Mai come in questo caso però, l’aver raggiunto la cima, non rappresenta la fine della salita! In tutti i sensi, sia quello letterale, che quello metaforico! La parte più avventurosa deve ancora venire!
Scendiamo quindi lungo il comodo sentiero che porta a Colle di Conca, per poi deviare in direzione della Sorgente Palazzo dove facciamo una pausa per mangiare qualcosa. Ripartiamo, evitando di raggiungere la chiesetta di Sant’Anna e ci portiamo direttamente verso l’imbocco della scala omonima. Individuiamo l’inizio della cengia, a picco sul Raganello, che percorriamo estasiati, ma con la massima cautela, vista la sua esposizione e le condizioni di totale abbandono in cui versa. In molti punti sono rotolate pietre e bisogna farsi largo tra la vegetazione, che però non intralcia più di tanto, in quanto non particolarmente fitta. Proseguiamo in cengia fino ad intercettare la Lamia, dove occorre deviare decisamente sul terreno in frana, seguendo labili tracce di sentiero, che conducono direttamente al greto del torrente. Durante la discesa, è assolutamente vietato perdere la concentrazione! La pendenza diventa consistente, il terreno frana facilmente, con il rischio di scivolare o di far cadere sassi colpendo chi ci precede.
Dopo questa adrenalinica discesa, sul filo del rasoio, raggiungiamo il torrente, più gonfio del solito a causa del disgelo in atto, lo guadiamo, portandoci sulla sponda occidentale, e ci rilassiamo per qualche minuto, pensando a come ci convenga procedere. Decidiamo di raggiungere i terreni coltivati che, dall’alto della cima, avevamo visto essere collegati tra loro, in modo da raggiungere il sentiero per il belvedere di Barile. Inizialmente tutto procede per il verso giusto, ma abbandonato l’ultimo fazzoletto di terra le cose si complicano. Cerchiamo di raggiungere il canale Acqua Masa, dal quale sappiamo si stacchi il sentiero che dobbiamo percorrere, ma ci tocca attraversare rovi, stagni, torrenti con argini in frana e chi più ne ha, più ne metta! Raggiunto il canale, scendiamo per un po’ lungo il suo corso, saltando tra le pietre levigate dall’acqua. Ad un certo punto lo abbandoniamo per ricollegarci al sentiero che scende dalle masserie. Percorriamo tracce di animali, mentre Saverio taglia i rovi più intricati con il coltello. Finalmente raggiungiamo il sentiero ma, amara sorpresa, anche questo non è del tutto libero dai rovi! Tratti più sgombri si alternano a tratti più complicati, e così fino al Belvedere di Barile!
Facciamo una breve pausa, ma la Timpa di Cassano disegna un’ombra netta sulla Timpa di San Lorenzo, facendoci capire quanto il sole sia ormai basso all’orizzonte. Ripartiamo lungo il bellissimo sentiero, a picco sul Raganello, che percorre la gola di Barile, tagliando la parete della Timpa di Cassano. Raggiungiamo l’incredibile Scala di Barile che risaliamo quasi al buio, in un’atmosfera surreale, fino a sbucare sui pendii di Palma Nocera. L’abitato di San Lorenzo Bellizzi luccica nella valle e le masserie dove abbiamo parcheggiato, appaiono come due punti luminosi dall’altro lato del Raganello. Indossiamo le frontali e scendiamo verso il Torrente che in questo punto sbuca fragoroso dalla Gola di Barile. E’ gonfio, più gonfio che a monte ovviamente, avendo accolto nel suo letto l’acqua di tutti i canali e le sorgenti che in esso precipitano. Non vi sono ponti e quindi, da bravi equilibristi, dovremo attraversarlo saltando da un masso all’altro. Non ci resta che percorrere l’ultimo tratto in salita, fino alle masserie, accolti dai maremmani che già ci avevano rumorosamente salutati alla nostra partenza!
Questo anello, così faticoso, così impegnativo, così selvaggio, racchiude in sé sentieri che raccontano la storia di questi luoghi e della gente umile che vi abita. Facciamo in modo che non vadano persi per sempre, o peggio ancora modificati, snaturandone l’anima.
Questo racconto, che a molti potrebbe apparire come una disavventura da dimenticare, rappresenta per noi una magnifica avventura, pregna di ricordi, che rimarranno racchiusi per sempre nei nostri cuori!